Ha appena finito di tagliare l’erba, beve un caffè lungo in giardino prima di andare in studio per finire il missaggio di ‘Siamo tutti un po’ gay’. Lo sguardo rivolto verso il lago, la sua mente va avanti nel tempo e si immagina su una barca a vela, con il suo sogno più grande mai realizzato: la serenità.
Questo è Raffaele Dottarelli che parla del suo nuovo progetto Margherita e del primo singolo che uscirà ad agosto.
Secondo te, perché ‘Siamo tutti un po’ gay’?
«Siamo tutti un po’ gay è un inno. È il mio appoggio alla comunità LGBT. È un messaggio di amore senza preconcetti, giudizi e finta morale. Love Is love, l’amore è amore, a prescindere da tutto».
Raffaele o Margherita, come preferisci essere chiamato?
«Margherita, assolutamente. Margherita è il nome che avrei avuto se fossi nato femmina (così ha sempre detto mia sorella), allora perché non utilizzarlo come fosse un altro nome, tipo Andrea o qualsiasi altro?»
Margherita, nella tua carriera vanti molti progetti e collaborazioni, ci parli di questo tuo nuovo progetto discografico?
«Margherita è un progetto nato rimescolando tutte le canzoni che avevo nel cassetto, quelle mai suonate che ho deciso di tirare fuori, dandogli una nuova veste e dando vita a questo progetto autentico».
Progetto che va di pari passo con Ballerina Discografica… «Ballerina Discografica è un progetto embrionale, è un’etichetta discografica a tutti gli effetti. L’idea è quella di scovare, ovvero di fare scouting, come si faceva in passato, quando si andavano ad ascoltare gli artisti e i gruppi nei locali e se piacevano, si facevano i contratti. Anche il nome Ballerina deriva dal passato, ricorda le mie origini artistiche, quando mi cimentavo con il balletto e con la danza».
Scrivi canzoni da quando eri bambino, ma ce ne è una alla quale sei più legato?
«Questa è una domanda difficile, non mi va di scegliere perché sono tutte figlie mie. Ogni canzone rappresenta un momento particolare della mia vita e proprio come un genitore, che non fa distinzione tra i fratelli, io non ho preferenze tra le mie canzoni. Perché come dicono a Napoli: “Ogni scarrafone è bello a mamma soja”».
Una citazione che rimanda a un grande della musica italiana ma tu, sei stato in qualche modo influenzato da qualche artista del panorama italiano? A chi ti sei ispirato?
«Le influenze sono tantissime ma l’amore che provo per Cristina D’Avena non ha rivali… è il mio faro!».
Dai Brahmanelporto a Lagrù, passando per il Blues della Cameretta, da sempre hai sperimentato generi diversi. Ritieni opportuno inserirti dentro una specifica corrente musicale?
«In questo momento tutta la musica indipendente è sotto la corrente dell’indie però io mi inserisco nella categoria del pop. Ma non il pop radiofonico, bensì il pop inteso come musica popolare, della gente».
È vero, in questo momento storico c’è un’inflazione della parola ‘indie’…
«Più che un’inflazione c’è un vero e proprio abuso del termine che sì, ha il merito di aver costruito una categoria e ha risvegliato gli ascolti da parte di molta gente ma l’espressione viene ormai usata troppo e per quasi tutti i generi musicali».
Laura Cirilli